STORIE DI POMERIGGI DI MEZZO INVERNO. TRA FANGO, SUDORE E CALICI

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Di Marco Stracciari

 

Questa volta lo stridìo della serranda che mi divide dal “mondo” che ospito nel mio garage e’ diverso. Come e’ diverso cio’ che vado cercando. Entro, apro l’armadietto grigio dove so che ci sono e puntualmente sono lì ad aspettarmi e sembra quasi che implorino la mia attenzione.

E questa volta, dopo ben nove anni, io sono lì per loro. Le guardo, le tocco e le prendo in mano con delicatezza, quasi a cercare di non svegliarle dal torpore che in questi anni si e’ impossessato di loro. Le giro e le rigiro: hanno ancora evidenti i segni delle ultime battaglie che ormai appartengono a quasi due lustri fa ma sono ancora belle, grigie con quel baffo arancione in evidenza.

 

Arancione come il colore che andro’ ad indossare al pari delle mie due vecchie ma nel contempo nuove compagne d’avventure. Le mie chiodate sono pronte per nuove battaglie: e sembra che quel baffo sulla tomaia sia li’ apposta a ricordarmelo.

La chiamata alle armi era giunta circa tre settimane prima dal Pres, che ha voluto raccogliere in adunata tutti i soldati in armatura arancione per le 6 annuali epiche battaglie sul fronte Brianteo.

Il “Campionato” di corsa campestre ha inizio e molti di quei soldati avevano risposto presente. Io no, preso dall’impegno lavorativo avevo inizialmente dovuto desistere ma poi, con la scusa che servivano punti ad una classifica che gia’ dopo la prima gara ci vedeva a ridosso della vetta, mi sono lasciato convincere e a mia volta ho convinto i colleghi che per me il sabato pomeriggio doveva essere fango, sangue e sudore.

L’assenza alle prime due tappe fara’ di me un atleta “fantasma”, cioe’ uno di quelli che porteranno punti alla squadra ma non a se’ stessi, in una classifica generale che, a posteriori, poteva vedermi quasi a raschiare il podio. Ma non importa e mi “accollo” una missione: seguire lo Stucchi, il “re del paltone”, nella speranza fondata di stargli dietro e mettere pressione agli avversari.

 

Ma, questa volta, non sono qui a raccontare di epiche gesta o gare da incorniciare, anche se effettivamente e per svariati motivi, le mie quattro partecipazioni lo sono state; ma per descrivere piu’ o meno seriamente l’atmosfera e il clima (non solo meteorologico) di questi pomeriggi prefestivi.

Mi presento per la prima volta a Giussano, invaso dall’acqua e dal fango…e piove, piu’ o meno a dirotto. Ma sono entusiasta di questa mia nuova avventura podistica, dopo anni di montagne per lo piu’ attraversate sotto diluvi vari, e questo in confronto e’ quasi una gita. Saranno poco piu’ di 20 minuti di sforzo e sofferenze e poi tutto sara’ finito, mi dicevo.

Piu’ o meno e’ stato cosi’ e la mia tattica di gara in questa prima tappa ha rispecchiato fedelmente la missione che mi ero prefissato, non immaginando pero’ di raggiungere una posizione di classifica assolutamente anomala per una campestre. E, una volta tagliato il traguardo, pensavo di aver finito la mia fatica e concedermi in tutto relax la visione delle altre gare.

E invece.. un altro tipo di fatica mi aspettava.

Ero rimasto alla compagnia di qualche anno fa, dove la sera si beveva succo d’ananas e al massimo si sgranocchiava qualche nocciolina; facendo attenzione alle calorie, ai carboidrati e alle proteine perche’ bisogna fare lo scarico di quello e il carico di quell’altro. Domenica c’e’ la maratona, o la mezza, o il diecimila per cui… oh! Occhio alla forchetta.

I compagni d’avventure di allora sono rimasti ma se ne sono aggiunti altri: agguerriti sia sul campo di gara che fuori. Ex avversari che ora indossano la “naranja”, piu’ o meno nuovi adepti con i quali ho gia’ attraversato in lungo e in largo i viali del Parco o le corsie della pista, ma che finora non ho mai affiancato con un pettorale da onorare. Pettorale? Ma quale pettorale? Qui si onora ben altro, oltre che il pettorale perche’ non dimentichiamolo: si tratta pure di salvare l’onore della Societa’ e di tenerla al top nella classifica di squadra!

E il fatto di correre nella prima batteria e di essermi gia’ asciugato e cambiato alle 15 mi proietta a mia insaputa verso una nuova dimensione. Passi per il gazebo, ormai un’istituzione… ma nove anni fa non c’era il tavolo, nessuno sgabello e… un apribottiglie? Ma come? Il gatorade ha il tappo a vite! Il pane? Ma noooo… dopo la gara si fa il carico proteico, non di carboidrati! Detto, fatto: salame, capocollo, affettati vari e poi: birre, cartizze e rossi di varia provenienza, altroche’ gatorade! Stupìto ma allo stesso tempo attratto dalla “bionda” bevanda e dalle leccornie che trionfano sul tavolo, non posso che aderire a questa per me nuova iniziativa e con il maestro di cerimonie Claudio Quadrivi detto ormai “Cambusa”, che taglia, sminuzza, affetta e stappa con una velocita’ e una precisione che se l’avesse in gara sarebbe da podio!

Quasi ci si dimentica di quei poveri quarantenni che, mestamente, ci guardano afflitti per poi affrontare un riscaldamento che, sotto la pioggia battente di questi giorni, diventa piu’ un raffreddamento. Per riscaldarsi, ora, serve ben altro… tutto cio’ che “Cambusa” e  i suoi discepoli hanno portato per allietare la plumbea giornata.

Beh.. che dire di piu’: un grande risultato individuale e di squadra, un post-gara che sembra piu’ un banchetto matrimoniale che un ristoro: quasi quasi dispiace dover aspettare due settimane prima di affrontare nuovamente i sei chilometri che mi dividono dalle 15: l’ora del peccato!

 

Quindici giorni dopo si corre in casa, al Parco di Monza. Record di iscritti per quanto ci riguarda e record di sacchetti, bottiglie, cartocci e contenitori vari. Tutto come due settimane or sono e anche meglio. Le 14.30 e la gara sono solo un “vernissage” per quello che succedera’ dopo, come e piu’ di Giussano. Il gazebo posto nelle immediate vicinanze del campo di gara e’ un suggerimento troppo allettante per non raccoglierlo. Si fa il tifo ai quarantenni, certo… ma con i bicchieri in mano!

 

Sole e vento ci aspettano a Oggiono, dove la splendida cornice del Resegone, delle Grigne e del gruppo dei Corni ci scruta da lassu’… e mille variopinte magliette che scorrazzano tra le stoppie e il prato che, con quel cielo, sembra ancora piu’ verde.

Stessa gara, stesso risultato: Stucchi davanti e Stracciari guardaspalle, a contare i metri che via via diventano sempre di piu’ e dietro il vuoto. Punti presi, l’ormai sesto posto acquisito per Claudio e un’altra prova convincente per me, anche se lo slalom tra quelle stoppie non e’ stato proprio il massimo del divertimento. Ma dura poco, piu’ o meno come le altre due, anche se in tutta onesta’ meno faticoso. E di nuovo il “Cambusa”, che per fortuna corre nella mia stessa batteria, taglia prima il traguardo e poi le torte della mamma, non prima di aver esposto ancora una volta affettati ed insaccati senza pieta’. Chiudo quel pomeriggio con una virtuale “fotografia”: Matteo (si’, quello che va forte forte e ha la coda) con un bicchierino di Braulio in mano… roba che se me l’avessero raccontato non avrei nemmeno riso, tanto sarebbe stato irreale!

 

… E in men che non si dica arriva l’ultima. Nella splendida cornice del parco di Carate Brianza, ideale ambientazione per la tappa conclusiva del “Brianzolo” e delle nostre fatiche “off road” e “on the table”.  E piove, come e forse piu’ che durante il mio esordio.

Consentitemi di soffermarmi un po’ di piu’ sull’aspetto tecnico della gara, almeno per poche righe.

Il percorso si presenta in due aspetti nettamente differenti: una prima parte corribile, un po’ suegiu’ ma con erba a far da presa sotto i nostri piedi, un ruscelletto da attraversare o saltare (piu’ la seconda che la prima) e poi un lungo rettilineo dove le scivolate e le derapate in curva diventeranno una costante, con le caviglie che spariscono nella putrida fanghiglia di quel (circa) chilometro infernale!

Una cosi’ ampia varieta’ di situazioni che ci porta ad affrontare la batteria dei “cateteri volanti” con ancora piu’ vigore.. tanto e’ l’ultima. Una telefonata dal socio a 48 ore dallo sparo mi dispensa dai miei doveri di “vassallo”: ormai “alea jacta est” e il sesto posto finale per il “re della palta” sembra chiuso in cassaforte a doppia mandata. Io ormai, come il cricetino dentro la ruota, sono abituato cosi’: mi metto alle sue spalle e succhio ruota e fango, quello che mi solleva come la ruota posteriore del “caballero tre marce” di quando eravamo giovani noi.

Sempre a ridosso del gruppo degli inseguitori, con un’andatura che sembrerebbe suicida ma che ci consente di non staccarci e anzi, ci allontaniamo dal trenino sbuffante ma arrembante che tenta di seguirci e addirittura attacchiamo e superiamo uno dei “signori del Brianzolo”: quel Marco Arnese che, pochi anni fa, il Brianzolo l’ha addirittura vinto. Esentato da doveri di gregario, appena arrivato sul manto erboso che ci separa dal traguardo, cambio marcia e sbuffante come la locomotiva che, prima in Italia, portava i napoletani a Portici; mi catapulto sul traguardo per quella che sara’ fino a quando non si sa, la mia migliore prestazione assoluta tra curve,  palta, erba e vunciume.

Che fatica! Ma come detto, dura poco… ed e’ l’ultima, come sara’ l’ultima di questa splendida avventura. E’ finita? Ancora no, anzi.. e’ qui che comincia. E “Cambusa” questa volta si supera: coltelli e bicchieri sono accompagnati da cucchiaini e piattini e oltre alle solite leccornie ci aspetta una strepitosa torta “rigenerante” (rispetto a cosa?) con mascarpone, burro, cacao e tutto il necessarie per far aumentare a dismisura il tasso glicemico.

Gerardo che porta una bottiglia di champagne dimenticata da troppo tempo in garage, e qui mi tornano in mente le mie chiodate; e Matteo che questa volta, dopo l’ennesima grande prova, si “tuffa” sul limoncello: roba da non credere!

Manca il finale col botto… e invece no. Il Paolo, che da “Dorando” passa con disinvoltura al ruolo di “fuochista” non pensa di meglio che portare con se’ e nel bel mezzo del campo di gara un cartone made in China pieno di fuochi artificiali, esplosi per accompagnare l’ultimo giro di “pista” per l’ultimo dei Gamber: “bruco” Brucoli, che alla vista di cotanta attiva partecipazione da parte dei suoi compagni di merende (e’ proprio il caso di dirlo) cambia marcia per attaccare, senza pero’ troppo successo, nientemeno che il quartultimo posto assoluto.

E, come in tutte le belle storie, anche qui scende la sera e con essa la parola “Fine” a questa avventura, che rimarra’ a lungo nella memoria di chi l’ha vissuta e sudata: nella mente, sotto le suole delle “chiodate” e su un ipotetico emo-referto alla voce “trigliceridi”.

E le mie, di chiodate, dopo tanta effimera gloria torneranno meste laddove le ho ritrovate, nove anni dopo. Lavate e pronte per nuove avventure, per un altro Brianzolo, per altre mezzore di fatiche e sudore e per tante storie ancora da raccontare. Fino alle 15 perche’, dopo, ci penserà il “Cambusa”!